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Non un giorno in più, ma il nostro giorno: perché noi Paolini celebriamo San Paolo Apostolo il 30 Giugno.

C’è una domanda che, ogni anno, aleggia nell’aria a fine giugno, una domanda che ci poniamo anche noi, membri della grande Famiglia Paolina, quando ci ritroviamo insieme per celebrare la nostra festa più importante. Ieri, il 29, la Chiesa intera ha rivolto lo sguardo a Roma, alle due colonne, Pietro e Paolo, celebrati insieme nella loro solennità. E oggi, 30 giugno, mentre il calendario liturgico prosegue, per noi tutto si ferma di nuovo. Per noi, oggi, è di nuovo festa. Anzi, è la festa. È la solennità di San Paolo Apostolo, nostro Padre. Perché? Perché questo giorno in più, questo appuntamento così nostro, così intimo?

Una storia nata tra le strade dell’antica Roma

La risposta, come spesso accade, è arrivata dall’ambone, semplice e profonda, nelle parole di Don Agatino Gugliara, Sacerdote della Società San Paolo della Comunità di Catania, durante la celebrazione della Santa Messa che, tre anni fa, ha visto riunita la Famiglia Paolina a Catania proprio il 30 giugno. La sua non è stata solo un’omelia, ma il racconto di una storia, la nostra storia, che affonda le radici nella polvere dei secoli e nel cuore ardente del nostro Fondatore, il Beato Giacomo Alberione.

Don Agatino ci ha presi per mano, riportandoci alla Roma antica. Lì, ci ha spiegato, la Chiesa ha sempre avuto la “bella e felice intuizione” di celebrare Pietro e Paolo insieme. Il motivo è profondo: entrambi gli apostoli, pur non essendo martirizzati nello stesso giorno, hanno versato il loro sangue a Roma sotto la stessa, terribile persecuzione di Nerone. Sono le due colonne su cui si fonda la Chiesa romana. Ma la città imperiale poneva un problema logistico, quasi sentimentale. Le loro tombe, come ci ha illustrato Don Agatino, si trovano in luoghi di Roma molto distanti tra loro. Da una parte la Basilica di San Pietro, dove la Roma medievale si sarebbe poi sviluppata; dall’altra la Basilica di San Paolo, che proprio la sua posizione “fuori le mura” rendeva più esposta e, con le incursioni barbariche, anche più pericolosa da raggiungere.

Il desiderio dei pellegrini, però, non era solo celebrare, ma compiere un atto fisico, un pellegrinaggio alle tombe dei due Apostoli. Diventava quasi impossibile farlo in un solo giorno. Nacque così una consuetudine pratica, dettata dal cuore dei fedeli: il 29 giugno si andava da Pietro, il 30 si dedicava la giornata a Paolo. Un giorno per ciascuna colonna, per dare a ognuna il giusto tempo, la giusta preghiera. Questa tradizione, così umana e devota, ha lasciato una traccia così forte che, come ci ha ricordato Don Agatino, persino il messale del Concilio di Trento riportava, per il 30 giugno, una “commemorazione” di San Paolo Apostolo, pur avendo già celebrato la festa insieme a Pietro il giorno prima.

Paolo per noi: Padre, Maestro e Modello

Ed è qui che la storia della Chiesa si intreccia con la nostra. Quando il Beato Giacomo Alberione, agli inizi del ‘900, ebbe l’intuizione di una nuova famiglia religiosa dedicata all’evangelizzazione con i mezzi più moderni della comunicazione, il suo sguardo non poteva che posarsi su di lui: Paolo. L’Apostolo delle genti, il più grande comunicatore del Vangelo, colui che aveva saputo tradurre il messaggio di Cristo per la cultura del suo tempo, non poteva che essere il faro per chi voleva fare lo stesso nel secolo nuovo.

Don Agatino ha usato tre parole, pesanti e luminose come pietre miliari, per definire il nostro legame con l’Apostolo: Padre, Maestro, Modello.

Padre, perché, come ha detto Don Alberione stesso, “è lui il vostro vero fondatore”. La nostra non è una paternità di sangue, ma di spirito. Paolo ci ha generati alla fede e, ancora oggi, “la usa per portare avanti il suo spirito, il suo messaggio, il suo zelo apostolico”. Portiamo il suo nome – Paolini, Paoline, Suore di Gesù Buon Pastore, Pie Discepole, Apostoline, e tutti noi della Famiglia Paolina – non per caso, ma per appartenenza. Come i figli portano il nome del padre.

Maestro, perché la sua dottrina, così profondamente cristocentrica, è la nostra bussola. “Per me vivere è Cristo”, scriveva. Tutto il resto è “spazzatura” di fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù. Questo è il cuore del nostro pensiero e della nostra azione: rimettere Cristo al centro di ogni cultura, di ogni pensiero, di ogni comunicazione.

E infine, Modello. Qui sta il punto più delicato e potente. Paolo osa dire: “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”. Non si mette al posto di Gesù, ma si offre come via percorribile per arrivare a Lui. Onorare Paolo, per noi, non è distogliere lo sguardo da Cristo, ma trovare una guida sicura, un testimone credibile che ci indica come si fa a seguirlo davvero, nella vita di ogni giorno.

In questa spiegazione così semplice e profonda, tutto diventa chiaro. Il 30 giugno non è un giorno in più. È il nostro giorno. È il giorno in cui non solo ricordiamo una storia, ma rinnoviamo un’identità. È il giorno in cui ci impegniamo a raccogliere il testimone dell’Apostolo Paolo, a vivere, come amava dire Don Alberione citando un’immagine a lui cara, “ad alta tensione” spirituale. È il giorno in cui, come Istituto Santa Famiglia, insieme a tutti i nostri fratelli e sorelle della Famiglia Paolina, ci sentiamo chiamati a essere, con umiltà e coraggio, “San Paolo vivo oggi”. Per il mondo di oggi.

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